Giocavamo così

Giocavamo così

Ricordi degli allievi del corso di computer del centro socio ricreativo per anziani Zante.

A cura di Simona Savoldi Poli

Immagini di pixabay.com

Presentazione

Questo progetto nasce durante le lezioni online con gli allievi del corso di computer del Centro Socio Ricreativo Zante nel 2021. 

Abbiamo utilizzato le nostre esercitazioni con lo strumento Google Drive ed in particolare con Google documenti per realizzare questa piccola raccolta di racconti dedicati ai giochi d’infanzia scritti dai miei studenti quando ancora il mondo digitale non esisteva. 

Il lavoro proposto è stato accolto con entusiasmo, voglia di ricordare e come memoria per i nipoti, perché non si perdano le tradizioni di un tempo e possano essere ancora d’ispirazione per i bambini di oggi.

Simona Savoldi Poli

Introduzione

È indispensabile all’individuo, in quanto funzione biologica, ed è indispensabile alla collettività per il senso che contiene, per il significato, per il valore espressivo, per i legami spirituali e sociali che crea, insomma in quanto funzione culturale. Soddisfa ideali di espressione e di vita collettiva.

Così definiva il gioco lo storico e linguista olandese Johan Huizinga nel libro Homo ludens (del 1938, ma pubblicato in tedesco nel 1939 e in italiano nel 1946) dando così a questa attività, non solo umana, il suo giusto ruolo nella costruzione della cultura e della collettività.

Perché di fatto il gioco non è mai un qualcosa di casuale ed …infantile, ma è prima di tutto condivisione e rispetto di regole, è una forma di socialità e di conoscenza e relazione con l’altro, stimola la curiosità e l’apprendimento, permette di tramandare di generazione in generazione le tradizioni di una cultura e diventa anche espressione dello spirito di un’epoca. I giochi cambiano nel tempo, ma non si disperde la loro natura disinteressata, non legata a bisogni ed a desideri, rimane intatta la loro purezza dell’essere atto di libertà e di autenticità. E il gioco non ha età perché fa parte della vita nella sua interezza come momento di riscoperta della gioia di vivere.

Diceva George Bernard Shaw: 

L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare.

In questi racconti c’è lo sguardo nostalgico di chi, non più bambino, si rivolge ad un tempo in cui la vita, pur nelle difficoltà, aveva il sapore di un gioco, ma, ecco che in quello sguardo non c’è il dolore “del tempo perduto”, ma quel dolce riandare ad una memoria che consola e che ci riporta ad un mondo di affetti e di speranze.

E come via via si animano questi racconti e come riaffiorano i ricordi!

Si ha la sensazione che gli scriventi, parola dopo parola, si vedano dapprima scorrere davanti quelle immagini per poi, per quella straordinaria magia che è propria della scrittura, improvvisamente si ritrovino proprio là, tra le grida e le risa dei loro compagni, a tirare la palla, a saltare in quadrati dalle linee rosse di mattone, a nascondersi, a rincorrersi; nomi diversi per divertimenti simili.

Alla fine sembra anche a noi, lettori che sfogliano queste pagine, di essere con loro, tra schiamazzi e schizzi di pozzanghere, tra allegre canzoncine e salti alla corda ed allora non possiamo fare a meno, con un esitante sorriso di tenero rimpianto, di tornare alla nostra infanzia e ricordare anche noi i nostri giochi.

Silvia Tecchio

I miei giochi invernali nel dopoguerra

Era da poco finita la guerra e gli inverni  erano molto freddi, dopo la scuola il buio scendeva molto presto e per noi bambini giocare diventava un’impresa ma non di giovedì, giorno di vacanza. Ai miei tempi le lezioni si tenevano sia il mattino sia il pomeriggio, ma il giovedì la scuola era chiusa. Nevicava molto allora. La prima neve scendeva verso la metà di dicembre per continuare fino a febbraio quando iniziava il disgelo 

La neve si compattava e formava un lastrone di ghiaccio pericoloso ma sul quale noi bambini ci divertivamo a scivolare usando dei sacchi di iuta, il freddo però era molto intenso e il gioco non durava molto; poi arrivavano i contadini che con badili gettavano sulla strada della terra rossastra che si trova dalle nostre parti. Al giovedì il nostro punto di ritrovo era la stalla dello zio Gino che distava pochi passi da casa mia. Qui all’interno c’era una lunga vasca di cemento che conteneva il pastone per le mucche e che era chiusa da un pesante coperchio di legno sul quale si giocava a carte. 

Io per qualche tempo stavo a guardare i ragazzi più grandi per imparare ma ben presto venne il momento in cui mi permisero di giocare perchè avevo appreso tutti i giochi che i più grandi sapevano fare: giocare a briscola, a scopa, sette e mezzo, a “Marianna” e alla “Peppa tencia”. 

Nel frattempo gli uomini mungevano le mucche, le pulivano e rifacevano loro il letto portando il vecchio letame all’esterno con carriole di legno. Finiti i loro lavori finivano anche i nostri giochi perché la stalla veniva chiusa. 

Io allora uscivo nell’aia e saltavo nella neve per pulire le scarpe e per sbattere i vestiti e lo scialle perché uscisse il tipico e poco gradevole odore di stalla. 

Tornata a casa la mamma subito capiva e in tono di rimprovero mi diceva “Ancora con questa stalla” ma poi il suo viso si addolciva perché sapeva che non c’erano alternative.

 Franca Basso Ricci

Nostalgia d’infanzia

Ho rivisto con molta nostalgia i giochi della mia età che facevo nel  cortile di casa con le le mie amichette: il salto della corda  (anche con due corde), palla prigioniera, palla a guerra in due squadre,  giochi con la palla al muro con giravolta, salto della palla senza farla cadere, nascondino, mosca cieca, il mondo disegnato per terra con i quadrati grandi per saltare.

Questo è quanto per l’epoca mia.

Vannina Sesti

I miei giochi d’infanzia 

Quando Simona ci ha proposto di scrivere qualche riga sui giochi che facevamo da piccoli non ricordavo quasi nulla come se non avessi mai giocato da bambina. L’unico gioco che mi tornava alla mente era il gioco della campana che noi chiamavamo “il mondo”, ma poi andando ad aprire i siti consigliati, pian pianino ho cominciato a ricordare che anch’io giocavo da bambina. 

Nel condominio dove sono cresciuta da quando avevo 5 anni c’era un grandissimo cortile dove si riunivano tutti i bambini. 

Nel ripensare ai giochi mi è venuto in mente che giocavo spesso alla corda, non singolarmente ma con una corda più lunga che due bambine tenevano alle due estremità e facevano girare, una bambina alla volta saltava al centro facendo qualche salto sul posto e poi, senza inciampare e senza interrompere il giro della corda, usciva dal lato opposto a quello dell’entrata e a questo punto saltava al centro un’altra bambina e così via. 

Ecco che affiora alla mente anche il gioco “ 1-2-3 stella” e ancora “ruba bandiera”; questi erano giochi che facevo solo con le mie amiche femminucce. 

Nel nostro cortile c’era anche una parte recintata con della sabbia e qui giocavano soprattutto i maschi che si costruivano una lunga pista e ci facevano correre delle bellissime biglie di vetro tutte colorate e vinceva chi tagliava per primo il traguardo. 

Non so se mi sono dilungata un po’ troppo, ma sono sincera quando dico che mi ha fatto un immenso piacere avere ricordato la mia lontana infanzia perché se non avessi aperto quei siti non avrei ricordato di averla mai vissuta. 

Grazie Simona 

Caterina Diara

Come mi divertivo da bambina

“Nonna, dai, giochiamo a nascondino!”

“Ma come è possibile,in casa ci sono pochi nascondigli!”

Quante volte me lo sono sentita chiedere dai miei nipotini!

Nascondersi era ed è un gioco che è sempre piaciuto ai bambini, ma i tempi sono cambiati e certi giochi che prima si potevano fare senza problemi,liberi in strada o al parco, ora sono diventati una chimera.

Le strade sono pericolose per vari motivi e non ci si fida più a lasciare i bambini da soli a giocare nelle vie e nei giardini, limitando così la loro libertà e fantasia.

Ricordo un Natale in cui io e mia sorella avevamo appena ricevuto i pattini a rotelle e, finito il pranzo coi parenti, giù libere in strada a pattinare nella via deserta!

Ogni giorno di bel tempo, giù in strada con gli amici a giocare: guardia e ladri,un due tre…stella, il mondo, salto con la corda, mosca cieca

Poi andavo a casa dei nonni e davanti allo specchio mi divertivo con l’hula hoop! Bei tempi e vita da vespa!

Come ci si divertiva, altro che strumenti tecnologici!

Tanti amici in carne ed ossa, qualche sana rissa e tanto movimento.

Rita Bosini

Giochi da tramandare 

I giochi di una volta erano molto semplici .

I miei giochi preferiti erano: mosca cieca, nascondino, shangai, campana, biglie, ecc…

Ricordo che insieme alle mie amiche ci divertivamo molto, non avevamo mai un momento di noia, giocavamo spesso a nascondino in quanto avevamo tanto spazio a disposizione dove correre e nascondersi.

I giochi di una volta si stanno perdendo, facendo spazio ora a giochi tecnologici .

Un gioco che vorrei tramandare potrebbe essere il semplice “nascondino”.

Leonarda Torzillo

Pensando all’infanzia 

Chiudo gli occhi e mi viene spontaneo un salto nel tempo della mia infanzia. Dopo aver passato il terribile periodo della guerra sfollata in campagna, al ritorno a Milano ho ritrovato tutti i bambini e le bambine del grande caseggiato delle case popolari in cui vivevo e dove all’interno c’era un grande cortile con dei giardini e lì andavamo felici a dare sfogo con tanti giochi di gruppo. Si giocava a nascondino , a dama cavaliere, ai quattro cantoni, a ruba bandiera, al mondo, a cavallina, alle belle statuine, diversi giochi con la corda – Oggi questi giochi non li vedo più fare dai bimbi, hanno altri interessi altri giochi e tanta televisione ma forse sono più soli. 

 Ernestina Sala

Un, due, tre stella!

Un classico: un giocatore scelto a caso, si pone davanti a tutti i giocatori a debita distanza,  volge loro le spalle e urla “ Un, due, tre stella”. A quel punto si gira di scatto ed osserva i giocatori. Lo scopo del gioco è cercare di raggiungere il giocatore che parla mentre gli altri giocatori avanzano senza farsi notare. Quando esso è girato di spalle, infatti, tutti gli altri devono correre verso di lui, ma quando egli si gira deve vedere gli altri giocatori immobili. Se qualcuno viene visto muoversi è squalificato. Il gioco termina quando tutti i giocatori sono squalificati o se qualcuno riesce a raggiungere il giocatore che  comanda il gioco prima che si giri subentrando al suo posto. Questo gioco è anche conosciuto come” Le belle statuine d’oro e d’argento” o “ L’orologio di Milano fa Tic tac”.

Cecilia Migliore

Giocando

I miei ricordi di gioco sono legati al tempo dell’oratorio e dei primi anni in cui abitavo nel quartiere dove vivo tutt’ora.

Sicuramente la prima cosa che mi viene in mente sono i classici quattro calci rincorrendo un pallone o per i vialetti condominiali o sul campetto di pallone dell oratorio, che del campo di calcio allora non aveva nulla in comune con quello attuale, comunque ci si divertiva e sono nate amicizie.

Così pure mi ricordo del gioco delle biglie: si disegnava una pista col gesso sull’asfalto del vialetto  e si facevano correre le biglie lungo la pista, se il gioco veniva fatto in spiaggia durante le vacanze estive la pista si faceva nella sabbia e si gareggiava. 

Si giocava a nascondino classico  in cui uno conta appoggiato a una parete e da tempo agli altri di nascondersi e poi li cerca, gli altri devono correre alla base e cercare di liberarsi e l’ultimo può liberare tutti 

Mi ricordo una cosa, non so se si può definire gioco o vizio, dopo che era piovuto e c’erano le pozzanghere ci finivo dentro e pestavo i piedi facendo schizzare l’acqua.

Carlo Calvi

Da bambina giocavo così

Quando ero una bambina i giochi erano diversi: tanti inventati a seconda del momento, per poi scoprire che altri bambini li giocavano.

Allora la comunicazione tra noi bambini era un passa parola come il gioco del telefono senza fili, divertente e molto giocato: ci si metteva in cerchio seduti, oppure mentre si camminava, e consisteva nel dire una frase o una parola all’orecchio del compagno o compagna che a sua volta veniva trasmessa, come una catena, fino all’ultimo che doveva svelarla a voce alta, spesso avveniva che la parola o la frase era diversa da quella iniziale come significato e ciò era molto divertente.

Il mio gioco preferito era il salto alla corda singolo o con altri compagni: due bambini facevano girare la corda  e bisognava saltare dentro e uscire senza toccare la corda stessa ed interromperne il giro, altrimenti venivi eliminata .

Un altro gioco era quello dell’elastico doppio tirato da due compagni e si saltava formando diverse figure.

C’erano anche uno due tre stella!, bolle di sapone, palla a volo o palla prigioniera, è arrivato un bastimento carico di frutta o altro, tutti giochi molto divertenti e di gruppo.

Ho un buon ricordo della mia infanzia piena di compagni .

Modesta Cigognini

Giochi di bimbi

Quando ero piccola io abitavo in una zona adatta a diversi tipi di giochi, il Parco Sempione. Si poteva correre, giocare a palla, saltare alla corda, giocare a mosca cieca, palla prigioniera ecc.

Poi sul marciapiede disegnavamo il mondo dove si saltava con un piede solo,ci passavamo le giornate, naturalmente quando eravamo liberi dalla scuola.

Purtroppo quando ero piccola io  eravamo ancora in tempo di guerra quindi c’era molta ansia e paura e spesso i giochi venivano interrotti dalla sirena.

Comunque ricordo quei tempi, per quello che riguarda il gioco, con nostalgia. Naturalmente non ho nostalgia per la guerra, anche se rimarrà un ricordo indelebile.

Crescendo mi ricordo i giochi fatti in casa come Dama, Monopoli, Mercante in Fiera ecc. Naturalmente si giocava anche con le bambole, si giocava a fare la mamma, cosa che poi ho fatto per davvero.

Finisco qui perchè alla nostra epoca a ca. 14/15 anni si andava a lavorare, quindi, anziché il gioco, il lavoro. 

Poi a 15 anni ho conosciuto quello che è diventato mio marito. Tutto qui.

Cesira Desposito

I giochi di una volta 

E’ strano, ma in questo momento di dubbi e incertezze, è bello pensare anche al passato.  Eravamo bambini e ci si divertiva con poco e niente.

Non sempre c’erano possibilità economiche per comperare giochi.

La priorità in famiglia era il lavoro per avere cibo, abbigliamento (solo il

necessario) e per avere una vita dignitosa.

I bambini di allora si dedicavano a diverse attività: aiutavano in casa per le faccende domestiche, dividendosi i compiti. Alcuni, purtroppo, non andavano a scuola per aiutare i genitori nei lavori o badare ai fratellini più piccoli.

Ma quando si poteva, dopo aver fatto i compiti di scuola, si scendeva in cortile, per strada o i più fortunati “in giardino” per GIOCARE.

Ecco, allora, ricordare alcuni dei giochi che facevamo all’aperto:

  • Nascondino: un giocatore conta e gli altri cercano di raggiungere 

la tana prima di essere scoperti.

trovare un oggetto con il colore scelto dalla strega prima di essere presi.

  •  Tiro alla fune: due squadre si allineano ai capi opposti della fune afferrandola saldamente, sulla quale si è segnato il punto centrale , che viene sistemata al centro del campo di gioco, poi ogni squadra tira più forte che può. Lo scopo di ogni squadra è tirare gli avversari nella propria metà campo. Cosa divertente era mettersi d’accordo con i compagni e ad un segnale prestabilito lasciare insieme la presa della fune. Si perdeva la partita, ma la soddisfazione di veder cadere in terra gli avversari era impagabile.
  •  Palla prigioniera: scopo del gioco è imprigionare i giocatori della

squadra avversaria. Ci sono due capitani che scelgono i componenti della propria squadra.. Chi ha la palla deve colpire gli avversari senza oltrepassare la linea di metà campo. Se un giocatore viene preso può afferrare la palla senza farla cadere a terra e così non viene fatto  prigioniero altrimenti deve correre nella prigione in fondo al campo degli

avversari. Se un prigioniero intercetta la palla può colpire un avversario per liberarsi e tornare dai propri compagni. Vince la squadra che per prima fa prigionieri tutti gli avversari.

Sono giochi, ma hanno tutte le caratteristiche di sport con attività fisica,

socializzazione e rispetto delle regole.

Questi giochi di altri tempi sostituivano le attuali  attività sportive dei bambini di oggi.

Così, oggi, mi sono divertita ad elencare solo alcuni dei tanti giochi che si facevano e ho voluto proprio entrare nello specifico per riviverli al meglio.

Io sono nata in campagna ed ho avuto la fortuna di stare a contatto con la natura, poi a sei anni la mia famiglia si è trasferita a Milano in zona a Centrale e  a breve qui al quartiere Forlanini che stava sorgendo.

 Sto parlando del 1958: c’erano veramente solo poche case.

 La famosa “piazzetta” era il nucleo centrale del quartiere – il centro commerciale di allora – tutto con tanti negozi.

 Tutto intorno al quartiere erano campi di terra dove, noi bambini, giocavamo bene a nascondino.

Ma ora non mi voglio dilungare ………. perchè mi riprometto di raccontare la mia storia vissuta in questo quartiere di cui mi ritengo una pioniera , visti gli anni trascorsi. 

Alla prossima……………. un caro saluto

Vilma Colombi

Un….due…tre….stella!!!

Tanto tanto tempo fa…

Un….due…tre….stella!!!

un ritornello che ancora ricordo e che mi riporta ad un passato lontano quando, bambina, con amici affezionati, cercavo di raggiungere con passi felpati e veloci la postazione di colui che guidava il gioco per prenderne il posto…Era uno dei tanti passatempi dei nostri pomeriggi in libertà, nelle strade senza traffico, nei cortili assolati, nei prati dietro casa. Conoscevamo tanti e tanti modi di giocare ed altri ne inventavamo, rispettandone sempre le regole per non essere eliminati dal gioco e dal gruppo.

Abbandonavamo le corde dopo esibizioni di salti e giravolte per passare, con la conta dell’ “Uccellin che vien dal mare” ad un altro gioco molto apprezzato,” nascondino”. Ognuno di noi riusciva a trovare nascondigli sempre nuovi da cui uscire gridando “Salvi tutti!!”

Altri giorni, invece,ci divertivamo a saltare su un piede solo nei quadrotti numerati della Campana che ogni volta ridisegnavamo per terra con sassi quasi magici che lasciavano segni rossastri e precisi.

Poi c’erano i pomeriggi del “mattaione”: andavamo alla fornace più vicina e ci facevamo regalare scarti di mattoni d’argilla morbida e raffinata con cui davamo vita a pupazzi, animali, oggetti vari che presto distruggevamo per crearne di nuovi, sempre con lo stesso pezzo del nostro”pongo” di allora.

Ripensando a quei giorni mi stupisco delle nostre tante capacità creative e mi chiedo se ne fossimo consapevoli: certamente no, per noi tutto era solo gioco e faceva parte del nostro quotidiano.

A primavera, poi, quando i convolvoli vestivano di bianco e di azzurrino le siepi, la passione di noi bambine era quella di intrecciare quei lunghi tralci fioriti in monili, coroncine, abiti di “vilucchio”che  ci trasformavano in damigelle, principesse, spose con veli lunghissimi..

E d’estate,la sera, di buio, tutti insieme ci ritrovavamo a caccia di lucciole da mettere sotto il bicchiere, nell’attesa speranzosa di un soldino al mattino di poi.

E come erano allegri i larghi girotondi scanditi da cantilene infinite come “Madama Dorè” “ Oh, che bel castello”  “  La bella lavanderina “ che ogni volta cantavamo con sempre nuovo entusiasmo,senza stancarci mai…

Ecco, quei giorni spensierati sono i miei ricordi più belli e ora che Simona mi ha  invitato ad aprire il cassetto che li ha custoditi per molto tempo sono felice di aver rivissuto un trascorso tanto sereno, quando con poco ci si divertiva molto e tutti eravamo amici di tutti.

Laura Lelli

Buonanotte bambini

Eravamo in piena estate (negli anni 1950-52) la giornata era stata molto calda. I contadini avevano riempito di acqua fresca dei piccoli barilotti di legno da portare nei campi per dissetarsi e sopportare la calura della giornata. Le donne dopo cena mettevano delle lunghe panche di legno e delle seggioline impagliate davanti ai portoni delle case e li sedevano e parlavano delle loro cose. Noi bambini solitamente giocavamo a nascondino e recitando una filastrocca. Veniva designato chi doveva stare sotto per primo a nascondino facendo la conta. Costui o costei si girava verso il muro e contava fino a 20 mentre i compagni cercavano di nascondersi al meglio. La strada non asfaltata era piena di buche e di sassi ed era illuminata da lampioni che davano una luce fioca, ma per noi ciò non aveva importanza perché quello era il nostro mondo e lo conoscevamo molto bene. Se il bambino che faceva la conta riusciva ad individuare tutti i nascondigli si liberava del muro e il suo posto veniva preso dal bimbo che era stato scoperto ma se costui riusciva, correndo velocemente, a toccare il muro rimaneva

libero. Saper correre veloci in questo gioco era molto importante ed io avevo notato che a vincere erano i compagni che correvano a piedi nudi perché senza zoccoli. 

Io allora una sera, per poter vincere, mi tolsi gli zoccoli e li misi in un angolo al buio perchè nessuno li vedesse. Il gioco durava fino a quando le donne si alzavano dalle panche,si salutavano e

dicevano: “A domani, buona notte” e a noi bambini “Su, si è fatto tardi è ora di andare a letto”

Una sera terminato il gioco corsi a riprendere i miei zoccoli,ma non 

c’ erano più,qualcuno li aveva presi; ci rimasi molto male e la mamma al principio si arrabbiò ma po mi disse :

“ Domani ci sarà un bambino un po’ più felice e un po’ meno povero “.

Franca Basso Ricci

Infanzia in un piccolo paese

La mia infanzia l’ho vissuta in un piccolo paese del basso mantovano,  Poggio Rusco, un paese circondato da tanta campagna, erano gli anni del dopoguerra. Io sono nato nel 1941 nel mese di Febbraio, faceva sempre tanto freddo anche perché gli indumenti che indossavo erano molto modesti e non mi riparavano molto dal freddo, quasi sempre erano gli stessi indumenti indossati prima dai fratelli maggiori che la mamma aveva riparato rigirando il tessuto, era un modo per poterli sfruttare il più possibile, ed essendo io l’ultimo dei tre figli maschi avevo la possibilità di  indossarli ancora per tanto tempo, poi con la crescita, non potendo più utilizzarli, si mettevano in una valigia di cartone e  potevano servire in diversi modi ad esempio venderli allo stracciaio,che passava per il paese ogni tanto. Io ne approfittavo per recuperare qualche indumento adatto per costruire un pallone un po’ particolare: passavo dal meccanico delle auto chiedendo se mi poteva regalare qualche camera d’aria per gomme da macchina da cui avrei potuto recuperare degli elastici e costruire un pallone. Incominciavo ad avvolgere gli stracci in tutti i versi tenendoli insieme con gli elastici e sembrava un  vero pallone, comunque  ci si accontentava, era uno dei giochi che ci potevamo permettere e nessuno si lamentava: era così per tutti.

Nel periodo invernale il comune del paese distribuiva ai più bisognosi gli zoccoli di legno, quelli che davano ai bambini, mi ricordo ancora, avevano verso l’alto un bordino rosso come rifinitura: erano bellissimi;  dopo qualche giorno la mamma provvedeva a conficcare sulla parte rotonda del davanti una serie di chiodi con la testa molto grossa per farli durare nel tempo, erano le uniche scarpe per poter giocare al pallone.

Altro gioco era la lippa per la quale venivano usati  due pezzi di legno, uno lungo circa 40 centimetri e uno corto 10-15 centimetri appuntiti alle due estremità. Il gioco consisteva nel battere col bastone lungo il bastone corto su una delle punte per farlo alzare da terra per poi colpirlo in modo che andasse a finire in un grosso cerchio segnato in precedenza, di solito sul grande piazzale della chiesa, era l’unico posto adatto al gioco, chi ci riusciva al primo colpo era il vincitore e riceveva applausi.

Altro gioco consisteva nel recuperare un cerchione di qualche bicicletta e utilizzarlo per fare delle gare di corsa: si faceva scivolare con un legno infilato nell’incavo del cerchione stesso, c’era una partenza e c’era un arrivo, i partecipanti potevano essere in tanti, chi non aveva il cerchione faceva da spettatore.

Nei mesi invernali  al mattino  la brina imbiancava sempre tutto: siepi, alberi, e, nei fossati si formavano lastroni di ghiaccio dove, noi bambini,  facevamo, per gara, lunghe scivolate, naturalmente gli zoccoli mi tornavano molto utili, di calze non ce n’erano e la mamma andava nella valigia e recuperava pezzi di stoffa per avvolgere i piedi che poi legava con strisce di tela.

I regali di Natale di solito era frutta secca e qualche mandarino dei quali, dopo aver mangiato la polpa, mettevo la buccia sulla stufa per sentirne il profumo.

Dalla stessa stufa, alla sera, la mamma toglieva le brace per metterla nel letto in un contenitore per scaldare le lenzuola, durante la notte la stanza si raffreddava e al mattino i vetri erano disegnati dal ghiaccio.

All’inizio del secondo anno delle scuole professionale, al paese le superiori non c’erano e per frequentarle bisognava andare in treno in un paese vicino, a me allora mio padre ha trovato un posto in un negozio di barbiere niente retribuzione, solo per imparare,  ricordo ancora le sue parole:”Sei al caldo in inverno e all’ombra in estate.”

Prima di compiere 18 anni sono partito dal paese per Milano per fare il barbiere, l’ho fatto per 44 anni.

Ogni tanto, penso al mio passato e ne sono orgoglioso.

 Facchini Bruno

Tutta sola, in compagnia di un cane

Ricordarsi di quando si era bambini, a 75 anni, è un’impresa un pò ardua, non perchè non ci siano nella mente questi ricordi ma perchè i miei primi anni di vita li ho vissuti  in una villetta di viale Zara a Milano, tutta sola con la compagnia di un cane. Ricordo che  salivo sui rami di albero di ciliegio a rubare le ciliegie ancora acerbe e giocavo nel giardino con l’altalena

Alla domenica i miei genitori mi portavano  in piazza del Duomo dove mi divertivo  a dare da mangiare ai piccioni.

Mi sono mancati infatti sia la possibilità di giocare con altri bambini che imparare giochi all’aperto, se non, eccezion fatta, a dieci anni quando i miei cambiarono casa e andammo ad abitare in un caseggiato in viale Monza, lì c’era un cortile dove si poteva girare  coi pattini a rotelle.

I ricordi vivono in fondo all’anima, basta un nulla per richiamarli e trasformarli in immagini.

Marinella Bettamio

Da bambini bastava poco per divertirsi

Nel gioco di un bambino nasce il carattere dell’adulto.

La mia memoria corta ormai vacilla ma quella lunga mi accompagna tuttora.

Mi rivedo bambina, giocavamo con qualunque cosa potesse farci divertire.

I giochi erano semplici e certamente non costosi.

–  cerchietti: consistevano in un cerchio leggero di bambu’,  4 bastoncini di legno con l’impugnatura e  si lanciava il cerchio al compagno che, a debita distanza, doveva prenderlo con i suoi bastoncini, senza lasciarlo cadere.

il mondo: con un gesso, e in mancanza con un pezzetto di mattone, si disegnavano per terra dei numeri, si gettava un sasso e si doveva saltare su una gamba sola fino a dove era atterrato il sasso per afferrarlo.

– ciapa el tram: ci si metteva seduti per terra in circolo, ognuno con un sasso in mano e si iniziava a farlo girare sempre battendolo a terra e sempre più veloce al ritmo di questa cantilena “ciapa el tram balurda ciapel ti che mi sun surda tricchetrà lasel andà”

giro d’Italia: nella terra scavavamo  un percorso e con le biglie si gareggiava,se c’era l’asfalto lo segnavamo col gesso e usavamo i tappi della gazzosa che noi chiamavamo Agretta (tappi a corona)

– tighelè: veniva effettuata la conta e chi veniva toccato per ultimo doveva rincorrere il gruppo intero e cercare di toccare la spalla a qualcuno per passare la pena.

– ruba bandiera:2 squadre distanti con in mezzo uno che teneva appeso in mano un fazzoletto e a due a due i contendenti dovevano prendere con destrezza  il fazzoletto e chi riusciva senza farsi toccare dava  un punto alla sua squadra 

– salterello: ci si raggomitolava a terra in fila di 4 o 5 e uno cominciava a saltarli  tutti appoggiando le mani sulla schiena di ognuno poi ripartiva l’ultimo e così via.

– cocacavallina: in genere quello più robusto si metteva di testa, ossia incrociava le mani e tratteneva la testa del primo e gli altri 3/4 piegati si aggrappavano a quello precedente tipo treno. Il vero campione era quello del primo salto che doveva essere lungo per lasciare spazio a quelli dopo.

– salto della corda: poteva essere individuale oppure due bambine (in genere le due un po’ interdette) facevano girare una corda lunga per permettere a 3/4 di saltare tenendo il ritmo  altrimenti si prendevano frustate sulle gambe.

– palla: in tempo di guerra le palle di gomma  erano sparite…solo quando la vita riprese a scorrere normalmente sono tornate in vendita. Con la palla ci possono essere molti giochi tipo palla prigioniera o pallavolo, oppure farla rimbalzare contro un muro o con le mani aperte o con i pugni.  

E l’aquilone? Un lavoro di ingegneria vero e proprio. Ci si doveva procurare l’armatura, rametti già storti in partenza, poi la carrozzeria che era fatta con la carta oleata !!!! carta gommata, peraltro pesante,oppure coccoina che profumava di mandorle e fin lì andava bene, ma io volevo fare l’estrosa e lo caricavo con anelli fatti a catena sempre con la medesima carta e così appesantito  volava per modo di dire anche se correvo a perdifiato.

Ero egualmente felice della mia opera d’arte.

Grande divertimento era anche scivolare. In un punto defilato del cortiletto dove abitavo, quando c’era la neve, e una volta l’inverno era  inverno, noi versavamo dell’acqua affinché di notte gelasse e poi il giorno dopo era il nostro patinoire

Nelle giornate di brutto tempo ci rifugiavamo sulle due rampe che andavano ai solai e li facevamo giochi piu tranquilli tipo le figurine, una specie di domande scritte diciamo culturali, cucire abiti per le bambole e poi sono arrivati i pattini a rotelle da noi chiamati schettini.

Man mano con l’arrivo del benessere anche i giochi andavano a modificarsi, era arrivato il Monopoli, la racchetta con le palline da Tennis, l’agognata bicicletta. A merenda: pane burro e zucchero, i ciuchini (castagne secche) i dolcissimi carrubi (che mangiano anche i cavalli) e i “nasarit” (piccoli frutti dolci pieni di semini che suppongo frutti della rosa canina).

P.S. Ripensando alla mia infanzia ho letto il mio carattere da adulta. 

Determinata, attiva, poco leziosa e poco propensa a porgere l’altra guancia.

Sono fatta così…

Gabriela Rosani

Vita di montagna

Ho trascorso la mia infanzia in una cascina, dalle mie parti chiamato podere, in montagna.

Era una casa un po’ isolata anche se poco distante dal paese.

Raramente avevo compagni di gioco e così esercitavo la mia fantasia ed utilizzavo ciò che la natura mi offriva.

Osservavo le nuvole cercando di individuare figure di animali, di uccelli e caricature di persone conosciute.

Raccoglievo fiori, sassolini e materiali vari che incollavo su cartoncini per farne quadretti da appendere in una mia casa immaginaria.

Ricordo con dispiacere un mio passatempo un po’ crudele: prendevo quattro mezzi gusci di noce e li mettevo come scarpe sui piedi del mio gatto, il quale poverino non riusciva a stare in piedi e ruzzolava miseramente a terra.

Saltare con la corda era divertente.

Vestivo bambole di pezza che costruivo io stessa.

Certo spesso giocavo da sola ma non ero mai triste ed annoiata e credo che ciò abbia molto influito sul mio modo di essere e sulla mia formazione.

Mi sembra di notare una notevole differenza tra la mia solitudine e quella dei ragazzi di oggi che hanno moltissimo ma spesso non sono contenti.

Ivana Bonucci

Giochi d’infanzia

Fino a 10 anni giocavo volentieri a nascondino; mi piaceva  fare la cuoca con pentolini e vari utensili da  cucina. 

Con le mie amiche condividevo lezioni di giochi, gare di fantasia e bellezza, composizioni con fiori e sassi particolari, bastoncini di legno il tutto coperto da un pezzo di vetro trasparente, così la terra circostante non rovinava il gioco. In inverno invece preferivo le gare con lo slittino. Poi ho imparato a fare lavoretti a maglia e con l’uncinetto.

Un’estate, essendomi fratturata il malleolo esterno del piede destro, gesso per 30 giorni, letture varie e lavoretti con uncinetto, ciò è servito come passatempo ed è stato molto utile anche per le nostre missionarie.

Cesira Sicher